il suono del silenzio
È quasi mezzogiorno e nel paesino in cui abito, sulla linea di confine tra Friuli e Veneto, regna un silenzio assordante.
Qui il silenzio c’è sempre stato, ora però si sente di più.
Questo era il paesino dei “camminatori”, dei podisti, dei runner, dei ciclisti, dei biker. Il rumore dei loro passi, dei respiri corti, dei raggi delle biciclette, delle voci di gruppo è stato sostituito da un unico suono avvolgente: il silenzio. Lo so, è un po’ strano come concetto, perché in teoria il silenzio è il contrario del suono, ma più mi immergo in questi giorni, più mi rendo conto di quanto sia potente il suono del silenzio: è qualcosa che tocca le corde dell’anima, «è talmente forte da spaventare», mi ha detto un’amica da sempre abituata a stare nel rumore.
il silenzio e la paura
Da diversi anni, più o meno da quando ho deciso di provare a diventare una “scrittrice”, mi sono addestrata a convivere con il silenzio, calandomi totalmente nella sua dimensione. Stavolta però è diverso, perché è un silenzio che si porta addosso la paura: la paura di ciò che abbiamo vissuto, di ciò che stiamo vivendo ora, di ciò che vivremo nel dopo.
Ed è proprio sulla paura che verteva il brano del Vangelo letto venerdì scorso sul sagrato della Basilica di San Pietro, prima che il Papa impartisse al mondo la Benedizione “Urbi et Orbi”.
“Il vento cessò e ci fu grande bonaccia.
Poi disse loro: «Perché avete paura?»”
(Vg. Marco 4, 40)
Ciascuno di noi in questo momento ha paura. C’è chi tenta di esorcizzare questo sentimento con l’ironia o dedicandosi, se può, ad azioni che lo fanno stare bene (io, per esempio, alzo al massimo il volume delle casse e mi metto a ballare in casa). Fondamentalmente credo che ogni paura, anche la più insignificante, celi dentro di sé il seme della paura più grande e atavica: la paura di morire.
Non siamo mai pronti dinnanzi alla morte, non sappiamo confrontarci con il suo mistero.
Ma non è della paura che voglio parlare nell’articolo di oggi.
Il silenzio e il ricordo
Dicevo del silenzio e del suono che il silenzio ha assunto in questo momento particolare: un suono che ricorderò per sempre. Come, per sempre, resteranno impresse nella mia memoria le immagini del Papa, un Uomo affaticato e solo, che con coraggio si affaccia su una Roma deserta e innalza il Santissimo Sacramento ai quattro angoli del mondo. Il suono delle campane si confonde a quello delle sirene di un’ambulanza, mentre la pioggia cade scrosciante sul sagrato di Piazza San Pietro e una nuvola di incenso sale nel cielo.
È un attimo e i miei occhi si fanno lucidi, il mio cuore libera un pianto che sale fino alla gola, mentre la mia mano cerca teneramente quella di mia madre, seduta sul divano a un metro da me, nel giorno del suo settantasettesimo compleanno. Le nostre bocche sono mute, ma i nostri occhi parlano e in silenzio dicono: «Io ci sono».
Ecco, quel silenzio pieno e irripetibile non potrò mai dimenticarlo.
io ci sono
«Io ci sono»: se potete, in questi giorni particolari, ditelo con amorevolezza alle persone intorno a voi. E se intorno a voi non c’è nessuno, ditelo a voi stessi. Perché dentro quell’Io c’è sempre un Noi, che crediate o no.
Forse indossare per un po’ mascherine e guanti ci farà usare meglio le nostre bocche e le nostre mani. Forse in futuro le nostre parole usciranno con meno violenza e le nostre mani avranno più cura verso ciò che toccano. Forse diventeremo più delicati, avremo più rispetto l’uno dell’altro. O invece accadrà tutto il contrario, come in un moto spasmodico e dissennato di liberazione collettiva? Chissà, io tifo per la prima delle due ipotesi.
Per oggi vi saluto qui, ho detto abbastanza.
A giovedì prossimo.