QUALCOSA DI MAGICO
“Cammino a passo veloce fino a Punta della Dogana e, tornando indietro, faccio una sosta a Campiello Barbaro, uno dei luoghi della città che amo di più. È una piazzetta poco conosciuta, lontana dai soliti circuiti. Quando i pensieri mi girano a vuoto nella testa, a volte vengo qui, e succede sempre qualcosa di magico, chissà perché. Mi siedo sull’ultimo gradino del ponte di pietra, dove il sole ha depositato tutto il suo calore, e appoggio la schiena al muretto di mattoni da cui spunta qualche filo d’erba. Da qui sembra tutto più dolce, i raggi vestono i due alberi spogli di tante piccole stelle lucenti. Al centro del campiello c’è un’aiuola piena di rose: è incredibile, fioriscono sempre, anche d’inverno.”
Siamo a Venezia e questa è la voce narrante di Elena in Io ti guardo.
La nostra protagonista ha un groviglio di pensieri nella testa e, per provare a districarli, si è rifugiata in un luogo magico di Venezia: Campiello Barbaro.
Lo ammetto, in quel passo del romanzo c’è molto di me, ed è proprio di quel luogo che voglio parlarvi nell’articolo di oggi.
Di Venezia amo tutto, ormai lo sapete. Amo le sue dosi massicce di Bellezza, i suoi inconfondibili colori e suoni, le sue folle e i suoi silenzi. Soprattutto, amo i suoi angoli “fuori dal tempo”: Campiello Barbaro è uno di questi.
Ma andiamo con ordine. Non so se sapete tutti che cos’è un campiello; nel dubbio, ve lo spiego.
Un campiello è un campo di dimensioni più ridotte. Badate bene che a Venezia “campo” significa “piazza”; potremmo dire che il campiello corrisponde alla “piazzetta”.
In epoca passata il campiello era spesso un punto focale della vita quotidiana, costituendo di fatto un micro-quartiere in cui tutti sapevano tutto di tutti e dove pettegolezzi, litigi, chiacchiericci e discussioni anche salaci tra gli abitanti erano all’ordine del giorno. Carlo Goldoni ha ritratto queste abitudini nella sua commedia Il campiello, che ha ispirato anche l’operetta omonima composta da Ermanno Wolf-Ferrari nel XX secolo.
Non è un caso, poi, se questo particolarissimo elemento urbanistico di Venezia dà il nome a uno dei più prestigiosi e conosciuti premi letterari italiani: il Premio Campiello.
A Venezia si contano 134 campielli. Non so se li ho visti proprio tutti, so però che a Campiello Barbaro, proprio come Elena nel romanzo, mi sono fermata un sacco di volte.
Ogni persona che passa di lì, ne sono certa, sente la voglia di fermarsi anche un solo istante per respirare il fascino del luogo.
Non saprei dire esattamente che cosa lo renda tanto suggestivo, forse è l’intero quadro architettonico in cui è inserito a rivestirlo di magia, tanto da averlo reso nel tempo una delle location preferite dai registi.
Tempo d’estate (Summertime) (1955) di David Lean; Venezia, la luna e tu (1958) di Dino Risi; Chi l’ha vista morire? (1972) di Aldo Lado; Anonimo Veneziano (1970) di Enrico Maria Salerno; Tutti dicono I love you (1996) di Woody Allen: sono solo alcuni dei film che hanno eletto a set Campiello Barbaro.
Anch’io ho girato una piccola scena di Onyria-the Dream of Love – una scena che in origine doveva svolgersi altrove – proprio a ridosso del campiello.
Campiello Barbaro si trova a metà strada fra il Ponte dell’Accademia e Punta della Dogana, a due passi dal Museo Peggy Guggenheim e dalla Basilica della Salute. Il suo nome è probabilmente legato al fatto che la famiglia Barbaro possedeva il vicino palazzo che si affaccia sul rio delle Torreselle e sul Canal Grande. Nel 1493, inoltre, il nobile Vincenzo Barbaro sposò la figlia di Giovanni Dario, proprietario della vicina Cà Dario, un sontuoso palazzo con una “storia maledetta” che meriterebbe un post a sé (chissà, forse un giorno ve ne parlerò…).
Nel tempo ho capito perché Campiello Barbaro ha affascinato e continua ad affascinare tanti registi e fotografi: è un luogo che non ha bisogno di effetti speciali per poter risplendere. La luce che lo avvolge è unica, sia nelle giornate di sole che in quelle grigie; l’atmosfera che si respira è raccolta, intima, conserva un non so che di antico e inviolato; soprattutto quando cala la sera, sembra di tornare indietro nel tempo.
Il ponte di pietra che offre i suoi gradini a Elena – tante volte lì mi sono seduta anch’io, specialmente al tramonto – è il ponte di San Cristoforo, da cui si intravede parte del Canal Grande, caratteristico per la sua scala incurvata: sembra un normale ponte se lo si raggiunge lasciando alle spalle il Museo Guggenheim, ma si trasforma in una sorta di palcoscenico allargato, se lo si guarda dal Campiello.
A te, che stai leggendo questo post, se un giorno avrai la fortuna di passare di lì, fermati un istante al centro del campiello, accanto all’aiuola fiorita, ascolta la melodia improvvisata dal suonatore di liuto, respira, chiudi gli occhi e guarda lo spettacolo che va in scena di fronte a te.
Potresti rivedere Katharine Hepburn (Miss Hudson) nel film Summertime mentre scende dalla scalinata, oppure Julia Roberts (Von) che, correndo, incrocia Woody Allen nel film Everyone Says I Love You, ma anche la Nina (Marisa Allasio) che si precipita a casa di Toni in Venezia, la luna e tu, bellissima commedia di Dino Risi con uno straordinario Alberto Sordi nei panni del gondoliere Bepi.
Che magie fanno certi luoghi…
Ora apri gli occhi. Forse sul ponte sta passando la tua anima gemella.
O forse non c’è nessuno.
Ma tu puoi metterci chi ti sta più a cuore, Venezia te lo concede.
A me per un attimo è sembrato di vedere Elena, sentire la sua voce e intercettare i suoi pensieri:
“Distolgo lo sguardo dalle rose e mi soffermo sull’acqua del canale che scorre lenta sotto di me. Ha un colore poco incoraggiante, è torbida, ma mi fa meno impressione del solito. All’improvviso, anche l’idea di rivedere Leonardo mi incute meno timore.
La verità è che, nonostante tutto, io lo voglio ancora. E tra mille dubbi questa è l’unica certezza.”
E voi, avete più dubbi o certezze?
Io di sicuro ho più dubbi e ne vado fiera.
Per oggi da #fattoreB è tutto.
A giovedì prossimo.